martedì 1 novembre 2016

Il Nobel Angus Deaton: "Non date la colpa alla globalizzazione" (IlSole24Ore)












VIVIAMO in tempi di grandi sconvolgimenti politici causati dall'insoddisfazione di molte persone per l'andamento dell'economia. E' tutta colpa della globalizzazione? Angus Deaton, premio Nobel per l'economia nel 2015, in questa intervista sostiene che è sbagliato e, soprattutto, pericoloso considerare la globalizzazione come il capro espiatorio dell'attuale percorso accidentato dell'economia mondiale.

Se, infatti, oltre che agli ultimi anni travagliati, si guarda anche a una prospettiva di lungo periodo, non si possono non evidenziare gli straordinari risultati che la crescita economica ha prodotto in tutto il mondo: riduzione della povertà globale per un miliardo di persone, crescita del reddito, maggiori aspettative di vita, migliori condizioni di salute e più elevati livelli di istruzione.


Reference:
Il Sole 24 Ore 

lunedì 15 agosto 2016

Dal “Merkozy” al rapporto Merkel-Hollande: cosa resta di un "polveroso" asse Parigi-Berlino













DA SEMPRE considerato il motore dell'Europa, negli ultimi quattro anni l'asse Parigi-Berlino ha perduto l'aspetto strategico che lo caratterizzava. Se prima il buon esito del partenariato diventava funzionale al perseguimento degli interessi nazionali, la distanza in termini politici ed economici emersa durante il rapporto Merkel-Hollande espone il partenariato a sole logiche nazionali. L'equilibrio politico-economico che aveva retto fino alla presidenza Sarkozy è venuto meno. 

Ora, una Germania troppo forte sotto il profilo politico ed una Francia troppo debole a livello economico considerano le relazioni bilaterali come fini a se stesse, minando in questo modo la stabilità europea. Il risultato è ben evidente: la messa in secondo piano del progetto europeo, la cristallizzazione dell'Europa a due velocità, la crisi dei rifugiati e la mancanza di una politica di vicinato.  

Il senso di un partenariato unico

Le relazioni franco-tedesche sono la forza motrice dell'Unione Europea. I due Paesi pesano insieme per oltre un terzo della popolazione UE, il 36% del suo budget e il 37% del suo Pil. Il grado di interdipendenza economica raggiunta li rende mutuamente indispensabili. Entrambi primi partner commerciali, nel 2014 l'interscambio bilaterale superava i 169 miliardi di euro (erano 156 nel 2011). Per intendersi, l'economia ungherese nel suo insieme produce un Pil inferiore (137 mld €). 

Continua a leggere il saggio qui 

Fonte: 

Rivista di Politica 2/2016: Il malessere della Francia tra politica, storia e memoria



lunedì 25 gennaio 2016

La política alemana tras la guerra fría














MUCHOS PIENSAN que el actual éxito económico alemán deriva de las reformas estructurales aplicadas a lo largo de la década de los noventa. Sin embargo, esto explica solo una parte. Están también los efectos positivos de la política exterior alemana seguida desde la reunificación.


Para explicar el resurgir económico que ha protagonizado Alemania durante la última década, los especialistas apuntan a la Agenda 2010, el paquete de reformas lanzado en 2003 por el antiguo canciller Gerhard Schröder y su gobierno de coalición con socialdemócratas y verdes. En el corazón de ese programa palpitaban las reformas Hartz IV, que supusieron la remodelación de los subsidios por desempleo y las prestaciones sociales e incrementó los incentivos al trabajo. Al mismo tiempo, los sindicatos aceptaron una bajada de salarios a cambio de limitar los despidos.

Los economistas Fabian Bornhorst y Ashoka Mody escribieron en un informe del Fondo Monetario Internacional: “En la década de 1990 la economía mundial entraba en una nueva fase expansiva, pero la alemana no parecía lo suficientemente preparada para sacar provecho del entorno favorable. Sin embargo, mediada la década de 2000, las reformas económicas y las respuestas de la patronal y los sindicatos a las nuevas circunstancias dieron pie al resurgimiento de Alemania. Desde entonces, la economía germana ha demostrado una considerable fuerza y madurez, que se ha hecho muy patente durante la crisis mundial de 2008 y 2009”.

Es indiscutible que la Agenda 2010, entre otras reformas nacionales, ha funcionado excepcionalmente bien, pero para explicar todas las razones del éxito alemán, es necesario tener en cuenta otra dimensión, la de la política exterior, que ha resultado igualmente decisiva en la remodelación de la economía y ha ayudado al país a recuperar su papel de actor económico competitivo y global.

Inmediatamente después de la reunificación, Alemania puso en marcha una estrategia geopolítica fundamentada en una sólida diplomacia económica que permitió a Berlín sellar alianzas estratégicas con actores geoeconómicos claves. Con ello, Alemania dio impulso a las exportaciones y garantizó su demanda de energía, maximizando así su “poder blando”. La política exterior alemana posterior a la reunificación ha tenido cinco factores de impulso que se han demostrado tan eficaces y esenciales para el crecimiento económico como las reformas internas.



sabato 28 novembre 2015

Europa tra passato e futuro: conversazione con Massimo Cacciari

Geopolitica.info ha intervistato Massimo Cacciari, Professore emerito di Filosofia, Università Vita Salute San Raffaele di Milano, sulle crisi che sta attraversando l’Unione Europea, la centralità della Germania, la fragilità della Francia. - See more at: http://www.geopolitica.info/leuropa-passato-futuro-conversazioni-massimo-cacciari/#sthash.FoUdtJLn.dpuf












PER GEOPOLITICA.INFO ho intervistato Massimo Cacciari, Professore emerito di Filosofia, Università Vita Salute San Raffaele di Milano, sulle crisi che sta attraversando l’Unione Europea, la centralità della Germania, la fragilità della Francia.

Il 9 novembre 1989, quindi una generazione fa, è caduto il muro di Berlino. Data altrettanto importante ma meno famosa è il 1 novembre 1993, con l’entrata in vigore del trattato di Maastricht e la nascita formale dell’Unione Europea. Dieci anni fa questa data veniva celebrata, ora si ha la percezione di un lutto. Cosa ha portato a questa ondata di disillusione verso l’UE?

Sia festa che lutto mi sembrano termini del tutto esagerati. Non mi ricordo queste grandi feste 10 anni fa. Allo stesso modo, la situazione attuale è difficilissima e drammatica ma aspetterei a definirla lutto. L’operazione di costruzione dell’Europa si è ingrippata quando venne gettato il cuore oltre l’ostacolo con l’Euro, prima di pensare a politiche sociali e fiscali comuni. Fu una mossa audace, e non ricordo nessun festeggiamento popolare in quel caso. Una classico caso di rivoluzione dall’alto. Era inevitabile che si arrivasse ad una situazione difficile. D’altro canto, la crisi economica del primo decennio del 2000 ha accelerato la crisi, ma non l’ha certo prodotta. Non solo si è costruito un Euro che non poteva neppure essere gestito per conto suo, senza politiche sociali e fiscali comuni. Si è continuato a gettare il cuore oltre l’ostacolo con il processo di allargamento, portando dentro il perimetro europeo Paesi per nulla pronti a fare questo passo. O si recupera i ritardi oppure il rischio è che si celebri davvero il lutto dell’Europa.

A proposito di ritardi dell’UE, come legge la possibilità di una accelerazione dei negoziati per l’adesione della Turchia? Le sembra un fuoco di paglia oppure una risposta pragmatica alla questione immigrazione?
Ci mancherebbe altro. Ci mancherebbe solo di accogliere 75 milioni di musulmani, con un regime politico la cui democraticità e tutta da vedere, con all’interno una minoranza etnica importantissima nella lotta contro l’ISIS ma osteggiata da Ankara. Vorrebbe dire aggiungere una crisi non necessaria.

Qual è il pericolo maggiore per la continuazione del Progetto europeo? Una Germania incapace o non desiderosa di guidare l’Europa oppure una Francia persa in se stessa?

Le concause sono difficili da leggere. Sicuramente per i motivi detti in precedenza. La Germania al momento è ancora lungi da assumere una leadership europea, non sa se ne ha la volontà e tanto meno la capacità. La Francia è messa male come noi: la grandeur è un pallido ricordo. Si poteva pensare ad un asse franco-carolingio che potesse durare nel tempo, ma si è rivelato invece incapace di agire e di ascoltare. L’Europa dimostra così una debolezza incredibile, non vi è mai stata una così grande afonia politica dalla Seconda Guerra mondiale in poi. Non vi è nessuna centralità politica, così come avveniva durante il confronto USA-URSS.

L’Economist ha definito Angela Merkel l'”Europeo indispensabile” perché “non tratta l’UE come un pungiball, bensì come un pilastro di pace e prosperità”. Anche lei pensa che la Merkel sia necessaria?

La Merkel è necessaria, senza dubbio. Senza una Germania che appoggi una linea riformista, per quanto timida, collasseremo in qualche mese.

Nel 1954 De Gasperi pronunciava questo discorso: “Bisogna riconoscere che la vera e solida garanzia della nostra unione consiste in una idea architettonica che sappia dominare dalla base alla cima, armonizzando le tendenze in una prospettiva di comunanza di vita pacifica ed evolutiva.” Sono parole diversissime da quelle usate dalla classe politica europea. Servono altre guerre per ritornare a ragionamenti simili?

La Storia ci dice che le grandi classi dirigenti si formano a seguito delle guerre – per quanto vi sia chi afferma che le guerre sono inutili. Le classi politiche attuali europee scontano la fine della Guerra fredda e del periodo di confronto bipolare USA-URSS. Pensiamo alla classe politica italiana: viveva di una grande centralità perché le decisioni prese dal nostro Paese risultavano decisive. I politici non erano più competenti prima o meno competenti oggi; semplicemente le loro decisioni non godono della stessa centralità. Si tratta di una astuzia storica.

Reference

sabato 10 ottobre 2015

Germania Nummer Eins: lezione geopolitica per l'Italia

Angela Merkel/Bundsregierung















PUBBLICO parte della prefazione scritta da Paolo Savona per il mio ultimo libro Nummer Eins: la Germania spiegata agli italiani. Savona è Professore emerito di Politica economica e cultore di Geopolitica economica.

Schibotto si prefigge un duplice obiettivo: pervenire a una spiegazione complessiva della strategia vincente della Germania, dato che si dispone solo di numerose ricerche su singoli aspetti della stessa, e tentare di trarre da questa analisi un insegnamento utile per un miglior funzionamento del sistema Italia.

Le risposte che l’autore fornisce ai due quesiti, corredandole con un’ampia dotazione statistica, si basano sulle diversità di approccio geopolitico economico dell’azione dei due paesi: proiettato all’esterno e basato sulla forza economica quello tedesco e proiettato all’interno e pregno di ideologie politiche quello italiano. La frase di chiusura del lavoro è rappresentativa di quello che ritengo essere la parte nuova degli studi di geopolitica economica:

«Agli inizi del XXI secolo la Germania “potenza civile” ha conquistato de facto l'Europa pur senza impiegare un solo soldato».

L’Autore di questo studio sulla Germania Nummer Eins ricorda che al momento dell’unificazione con la Germania Est, caduta sotto dominio sovietico dopo la sconfitta bellica, la politica seguita dal Governo tedesco occidentale fu oggetto di critiche per le restrizioni monetarie, le rigidità del mercato del lavoro e un welfare troppo generoso che le avevano valso l’accusa di essere il “malato d’Europa”.

Lo shock dell’unificazione fronteggiato da una politica di larghezza finanziaria pubblica e di più stretta collaborazione con il mondo del lavoro, questa favorita dal mantenimento di una efficiente rete di welfare, e la nascita dell’euro la cui azione era vincolata per volontà dei tedeschi sul piano sia monetario che fiscale, ha rovesciato questa situazione, elevando la Germania unita sul piano geopolitico, non solo europeo.

I principi su cui si fonda questo successo sono sintetizzati dall’Autore nel termine Ordnung, che egli traduce in «senso del dovere; organizzazione; spirito collaborativo; cultura d'impresa; sistema elettorale e ruolo dei partiti; policentrismo» applicati al raggiungimento di quattro obiettivi di geopolitica e geopolitica economica: «mantenimento dell'economia sociale di mercato; salvaguardia della base industriale; valorizzazione della ricerca e dell'innovazione [e più oltre aggiunge «l'eccellenza scolastica e la formazione professionale»]; promozione della reputazione internazionale del Paese e contestuale ricerca di nuove opportunità economico-commerciali».

Taluni auspicano che il nostro Paese segua il modello economico tedesco, e vi sono regioni che già lo approssimano, come il Veneto e la Lombardia. Negli ultimi due anni, infatti, il surplus della nostra bilancia corrente estera in presenza di una disoccupazione crescente e un welfare in via di indebolimento, dimostra l’analogia dei modelli perseguiti, ma Schibotto esclude che questa possa essere la via della ripresa italiana perché «il sistema valoriale tedesco di stampo ordoliberale è in sostanza non replicabile per l’Italia».

Tratta questa conclusione, l’Autore fornisce una spiegazione delle diversità dei sistemi valoriali, concentrandosi in particolare sul dualismo Nord-Sud italiano, che va oltre le diversità strutturali nei saggi di crescita della produttività in quanto ha origine, come precisato dalle ricerche della Banca d’Italia, nelle carenze di “capitale sociale”, dall’inefficienza della pubblica amministrazione alla carenza di infrastrutture economiche, all’eccesso di criminalità.

Il lavoro di Emanuele Schibotto è andato alla ricerca dei fondamenti del successo geopolitico economico tedesco.

Schibotto conclude con una proposta plausibile sul piano della strategia geopolitica: «è auspicabile – se non necessario – che l’Italia segua un sentiero costituito da riforme strutturali inserite in un piano strategico nazionale che porti anzitutto alla riduzione del divario economico Nord-Sud e alla massima resa delle specializzazioni produttive nazionali: turismo, settore agro-alimentare e comparto manifatturiero di media e alta tecnologia.

Ciò che emerge dalla ricerca condotta sono i riflessi dell’inadeguatezza dell’architettura istituzionale europea sulla quale la Banca Centrale Europea e il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo – ossia i due organi sovranazionali che hanno poteri di scelta relativamente autonomi – hanno agito apportando con difficoltà e nei tempi lunghi una qualche correzione, senza però pervenire alla soluzione prevista dai Padri fondatori: la nascita di uno Stato europeo propriamente definito.

Estratto della prefazione del libro Nummer Eins: la Germania spiegata agli italiani (GoWare, 2015)

sabato 5 settembre 2015

¿Por qué ‘Alemania über alles’?
















Berlín emerge cada vez más como la mente maestra de la Unión Europea, así como el país más popular del mundo, superando a Estados Unidos. ¿Cómo ha podido una nación que hasta hace una década era conocida como “el enfermo de Europa” convertirse de nuevo en una apisonadora económica y política?

Hoy en día Alemania ha alcanzado la primacía en la Europa continental por su actuación como “potencia civil”; sus ventajas siendo su peso económico y político, en lugar de su ejército. El enorme esfuerzo económico que la Bundesrepublik llevó a cabo tras la reunificación absorbió todas sus energías durante los siguientes 20 años. De acuerdo con economistas y observadores internacionales, en las raíces de los problemas experimentados por Alemania a lo largo de la segunda mitad de la década de los noventa hasta la Gran Recesión se encuentra el shock provocado por la reunificación, unido a un mercado de trabajo demasiado rígido, un Estado del Bienestar generoso y una política monetaria restrictiva. A medida que el nuevo milenio comenzaba, Alemania consiguió un progreso sustancial en varios indicadores, desde el crecimiento del PIB per cápita hasta el freno de la deuda pública federal.

En un mundo en proceso de globalización en el cual la conquista ha dejado paso a la influencia, 
Alemania ha descubierto el camino para la supremacía europea sin emplear un ejército, en contraste con los intentos previos llevados a cabo por el Kaiser Guillermo II y Hitler. La Alemania del siglo XXI no es una “potencia fascista” sino más bien una “potencia geoeconómica” que persigue sus intereses nacionales abiertamente y sin molestarse en buscar compromisos; ese peso recae en los otros miembros de la UE, que tienen que ajustarse a la posición de Berlín.

Una Alemania mucho menos “altruista” ha implementado con éxito tanto una eficiente estrategia geoeconómica que le permitió llevar a cabo unas reformas estructurales necesarias a nivel doméstico, como una estrategia geopolítica en torno a una sólida diplomacia económica a través de la cual Berlín ha creado compromisos con actores internacionales clave. De este modo, Alemania favorecía sus exportaciones y aseguraba sus necesidades energéticas. Berlín maximizaba su poder blando.

Los principales actores socioeconómicos alemanes –partidos políticos, sindicatos y patronales de las compañías manufactureras y de servicios– se pusieron de acuerdo en cuatro objetivos a largo plazo para el país: el mantenimiento del modelo de economía social de mercado; la defensa de la base industrial; el fomento de la innovación a través de la I+D; la promoción de la reputación internacional del país y la búsqueda de nuevos mercados internacionales para el comercio. La recuperación económica de Alemania demuestra que es posible cambiar el propio curso, y en el proceso volverse de nuevo competitivo.

Ahora bien, a pesar de la expectación despertada por el “ejemplo alemán”, el Ordnungsystem germano –su peculiar sistema de valores ordoliberales– no puede ser imitado.  Lo que otros países europeos (y no europeos) deberían hacer es estudiar el paradigma alemán para aprovechar las prácticas más adecuadas para su camino de reformas, con un firme compromiso por mejorar la competitividad. Tomemos a Italia como ejemplo. El Belpaese, liderado por el primer ministro más joven de Europa, Matteo Renzi, necesita construir e implementar una estrategia geoeconómica nacional dirigida a “modelar la globalización”, favoreciendo sus ventajas comparativas (manufacturas de media y alta gama, negocios de comida orgánica y su patrimonio natural y cultural) y llevar a cabo una política exterior a largo plazo basada en una diplomacia económica eficaz (exactamente lo que hizo Alemania).

Por supuesto, Alemania no es inmune a los problemas. Por mencionar solo unos pocos, su economía es demasiado dependiente de las exportaciones, su gobierno presenta uno de los niveles de inversión pública más bajos de Europa y la población se reduce desde 2003. Además, el creciente peso alemán a nivel europeo está causando bastante suspicacia.

Sin embargo, debe reconocerse que después de 25 años de la caída del muro de Berlín y el final de la división Este-Oeste, la Alemania unida representa la historia de un éxito. Berlín afrontó los desafíos derivados de la globalización a través de una mejora de sus sistemas económicos y sociales, al tiempo que mantenía sus valores propios y su identidad nacional.

Articulo publicado por Politica Exterior 

 

sabato 8 agosto 2015

Una nuova Cina, una vecchia Europa












LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE sta cambiando ad una velocità e intensità tali da confondere gli stessi cinesi, e questo può rendere il cambiamento particolarmente pericoloso sul piano geopolitico. Sul tema Geopolitica.info ha avuto il piacere di conversare con Francesco Sisci, autore del libro “A Brave New China”, già corrispondente da Pechino di Ansa, La Stampa e IlSole24Ore e tra i massimi esperti europei di Cina.

Nel suo ultimo libro spiega come la Cina odierna sia “non più la vecchia Cina”, ma un Paese profondamente diverso. Un Paese che di fatto ancora fatichiamo a comprendere. Qual è stato il cambiamento maggiore, il più profondo degli ultimi 30 anni?

È difficile indicarne solo uno, in realtà è un cambiamento radicale del modo di vita, che va dal modo di vivere, di abitare: le case sono diverse, i vestiti sono diversi, anche le cose da mangiare sono diverse, persino il modo di tagliarsi i capelli. Forse il singolo cambiamento più grande riguarda la famiglia e i figli. Si tratta di un cambiamento mastodontico, specialmente per la società cinese, una società senza un grande senso di divinità, dove il rispetto degli antenati e il rispetto dei figli sono il grande filo conduttore, sono una religione. Si è passati prima del ’49 da una famiglia che aveva idealmente un marito e un gruppo di mogli con 3 generazioni di figli, tutti ordinati secondo nomi specifici, a una famiglia nucleare fatta di un figlio unico. La famiglia ora prevede una moglie e un figlio e, cosa molto importante, questo è stato fatto come un sacrificio di sangue importante: 400 milioni di bambini sacrificati. È  stato fatto con calcolo, hanno ucciso quello che per loro è più caro, sull’altare del progresso.

Da quanto racconta nel libro si ha la percezione che la Cina sia vittima di un paradosso: cresce il nazionalismo diretto al riconoscimento del più vecchio Stato-civiltà, come scrive Henry Kissinger, ma allo stesso tempo proprio quella civiltà si allontana dalle sue radici fino al punto di non riconoscersi. É così?

È proprio così. In realtà il vecchio Stato-civiltà era tale perché non aveva bisogno di affermarsi, era in qualche modo metafisico. Era uno Stato isolato. L’insieme dei Paesi che la circondavano non avevano la metà della forza cinese, oggi invece questo non è più cosi. Il resto del mondo rende la Cina nana: conta solo il 20% della popolazione e il 10% del Pil mondiali. Naturalmente, in questo mondo i cinesi devono affermarsi, e nell’affermarsi l’idea di Stato-civiltà nega se stessa, non funziona. Ci sarebbe bisogno un nuovo principio unificante e anche di un nuovo modo di pensare il mondo.

Cosa non riusciamo a comprendere, oggi, in Occidente e soprattutto in Europa, in merito al cambiamento in atto? Cosa ci sfugge?

Non solo noi non capiamo, ma anche i cinesi non capiscono. I cinesi sono cambiati, ma guardano il mondo con i concetti filosofici antichi. Rimane sempre una discrasia: si racconta l’urbanizzazione con il modo di pensare della giungla, l’occidentalizzazione con delle categorie cinesi. È una cosa sistematica, un processo: i cinesi non hanno smesso di cambiare. Quello che oggi si dice per la Cina tra 6 mesi o 1 anno non sarà più valido. Quello che è importante per noi è che se la Cina è disposta a fare questi cambiamenti per sopravvivere così dovremmo fare anche noi, invece abbiamo smesso di cambiare, paradossalmente come quando l’ondata non ci ha colpito.

Le molte speculazioni e osservazioni fatte in Occidente su una Cina sempre più aggressiva sono accurate, oppure risultano sovrastimate?

La Cina di per sé cresce, e come un elefante quando cresce oggettivamente diminuisce lo spazio altrui. Inoltre è un elefante molto sensibile, sente che gli altri sono nervosi e si innervosisce a sua volta. Un fenomeno di nervosismo reciproco molto forte e molto pericoloso, ma diverso dalla pericolosità del fascismo, o del comunismo, dagli estremisti pseudo-musulmani. Queste sono ideologie nettamente aggressive, i cinesi invece non hanno questa ideologia dichiarata, però oggettivamente il loro peso specifico è tale che tutti gli equilibri vengono incrinati.

Come valuta i rapporti attuali di Pechino con gli altri due giganti economici della regione, Giappone e Corea del Sud? Cosa impedisce ai tre Paesi di seguire un processo di trasparenza storica così come avvenuto ad esempio tra Germania e Polonia?

Non c’è stata l’America. Gli USA hanno impedito a Francia e Germania di ripescare nella loro storia, unendoli nella CECA e nella NATO. Così in realtà l’America ha cambiato la Storia. Questo non è avvenuto in Asia per motivi complessi, tra cui il fatto che durante la Guerra fredda la Cina era da una parte, la Corea era spaccata, il Giappone nell’altro blocco. Adesso vi è il doppio rischio: gli strascichi della fine della Seconda Guerra mondiale e la fine della Guerra fredda, che ancora non è finita perché la Cina è ancora (almeno in parte) comunista. Sono due eredità che si sommano.

Qual è il principale problema nelle relazioni Pechino-Washington?

La crescita cinese è un punto di domanda enorme per entrambi. I cinesi non sanno cosa vogliono fare da grandi, e questo amplia tutto, diventa un problema globale. Però come si fa a discutere di questo problema globale che è allo stesso tempo anche nazionale con tutti sospetti e le paure attuali, con gli americani interessati sembra solo a bloccare la Cina?

Mentre le relazioni con Washington subivano degli alti e bassi, i rapporti con i paesi dell’UE sono aumentati costantemente negli ultimi 20 anni, fino alla clamorosa adesione dei principali Paesi europei alla Asian Infrastructure Investment Bank. Per la Pechino l’UE e’ un territorio di conquista oppure un partner di pari livello?

La realtà è che l’UE non esiste, questa è la premessa. In realtà per la Cina esiste un rapporto in primo luogo con la Germania, poi con Francia e Inghilterra. Questa è la realtà. Poi vi sono i sogni, e i cinesi sognerebbero da anni che l’UE emergesse come Paese unitario e quindi fosse un partner, anche capace di controbilanciare il rapporto con l’America. Questi però appunto rimangono sogni, perché come vediamo con la situazione greca siamo ben lontani dall’aver una “unione europea”.

Secondo un recente studio della società di consulenza McKinsey, la Cina sta perdendo terreno sul piano dell’innovazione. Negli ultimi 5 anni l’innovazione ha contribuito al 30% della crescita del Pil, mentre dal 1990 al 2010 la percentuale era superiore al 40%. Con una popolazione che invecchia, un debito che aumenta e un ritorno sugli investimenti che si riduce, non e’ un bel segnale. É  d’accordo con questa analisi?

La Cina secondo me non ha mai fatto mai della grande innovazione. Il problema fondamentale è che non producono tecnologie nuove. Come farai ad essere la prima economia del mondo senza tecnologie innovative? Qui si parla di innovazioni marginali, possono essere o rubate o derivanti da altre risorse: non dimentichiamo che la Cina continua ad avere grandi risorse, tra cui popolazioni vicine, bengalesi, vietnamiti, che le consentono un aumento della produttività. Questi dati e queste statistiche meccaniche e grossolane non sono fondamentali. Negli ultimi 40 anni storia quello che ho visto è che quasi tutti hanno preso un aspetto e ne hanno dedotto che venendo meno quell’aspetto tutto sarebbe crollato. La verità è che la Cina è una enorme balena, servono tanti “ostacoli” per farla crollare. Tornando alla domanda, il problema è la mancanza di innovazione alta, che continua ad essere prodotta per l’85% in Europa e Stati Uniti. E così continuerà ad essere, secondo quanto prospettano, per i prossimi 50 anni.

Concludo chiedendole se secondo lei il XXI secolo sarà il “Secolo asiatico”, il “Secolo cinese” o si continuerà con un nuovo  “Secolo americano”?

Dipende da quale prospettiva lo vediamo. I modelli di grande crescita, in cui sarà amministrato e pensato il mondo, continueranno ad essere europei (perché in questo anche l’America è un estensione dell’Europa). Quantitativamente l’Asia sarà molto importante, ma la differenza tra quantità e qualità è un concetto molto importante e delicato. Ancora oggi, dopo un secolo dal crollo dell’impero britannico, l’Inghilterra continua ad essere il fulcro del pensiero (pensiamo alla sue università, ai principali giornali, alla BBC). Che questo cambi la vedo molto difficile. Quantitativamente però è diverso, e qui l’Asia guiderà, in particolare la Cina.

L'intervista a Francesco Sisci è stata pubblicata su Geopolitica.info